"un giorno di ordinaria magia"

Ho letto in un mio scritto di qualche anno fa, che ero felice. Vabbe', non una felicità assoluta e totale, direi piuttosto circostanziata, ecco... ma comunque inequivocabile e dopo che l'ho letta me la sono pure ricordata, sì sì, ero proprio felice.

Ecco, la cosa mi ha lasciata un po' disorientata perché non mi ricordavo più di esserlo veramente stata, almeno non al punto di scriverlo. Anzi, non mi ricordo neanche quando ho smesso di concedermela, di riconoscerla ed identificarla anche in quei brevi momenti in cui, effettivamente, poteva esserlo. So, però, di averlo fatto intenzionalmente, consapevolmente, ostinatamente... spasmodicamente alla ricerca di un'improbabile equilibrio tarato verso il basso, un basso che mano a mano si spostava sempre più in basso e non arrivava mai in fondo.

Mi è servito davvero? Mi piace pensare di sì ma non sono sicura che sia per i motivi giusti, e questo mi accade praticamente con tutte le mie bizzarre strategie di sopravvivenza.

Il problema adesso è interrompere questo meccanismo, questa fabbrica di barriere tra me ed anche il solo sentore di felicità che sono così brillantemente riuscita ad impiantare. Non è neanche un fatto di cose da fare o non fare, non è neanche solo una questione di entusiasmo... è che, inevitabilmente, riesco sempre a frapporre qualcosa che mi separi da quella sensazione... sia una distanza chilometrica, siano delle mura domestiche, siano dei chili di troppo, siano altri miliardi di scuse, a volte pietose, a volte geniali che produco automaticamente.

Ma sovvertire un meccanismo non è cosa facile perché, per quanto deleterio, ormai lo conosci e ti sembra rassicurante, mentre l'alternativa appare improbabile e rischiosa ed io, si sa, sono una pavida.

Forse anche per il mio "dannato vivere" ci vuole semplice magia...