sabato 21 maggio 2011

l'aria della notte

13 Dicembre 2010

Il silenzio durava ormai da più di due ore, praticamente da quando erano rientrati in macchina per tornare a casa, ma anche durante l'andata, quello stesso mattino, l'atmosfera era stata più o meno la stessa. All'inizio c'era la radio, almeno, poi dopoquattro o cinque richieste di abbassare il volume ormai ridotto a poco più di un bisbiglio, lei si era rassegnata a spegnerla. Lui aveva ragione, ovviamente. La musica era un modo che lei usava per sfuggire ai pensieri, per ingannarli... poteva permetterselo lei... lui no. Era questo che le voleva dire.
Quel silenzio parlava, insomma. Anzi, gridava paura, amarezza, rancori, vergogna e sensi di colpa... sarebbe stato facile trovare da chi proveniva ogni singola sensazione, rimbalzava contro i vetri dell'auto e si spiaccicava addosso a loro come chiazze di fluorescina che ora, nel buio, risplendevano inequivocabilmente.
Il buio. Ecco un'altra cosa che lei temeva quanto i silenzi grondanti di accuse.
Fin quando era stato giorno era riuscita comunque parzialmente ad evadere, aveva abbastanza musica e pensieri dentro la testa da poter seguire un percorso parallelo a quello della strada da percorrere, ma quando era scesa la notte guidare era divenuto più impegnativo, come al solito, e la mente era troppo concentrata ad intuire quello che gli occhi non riuscivano a vedere... non restavano altre energie per le sue fughe codarde e e le disilluse sconfitte. Occorreva guardare attentamente la realtà scura.
Il buio rendeva dunque più assordante il silenzio e questo faceva della notte un buco nero che sembrava inghiottirla. Lei avrebbe voluto interrompere almeno uno dei due elementi per vedere se anche l'altro si sarebbe ridotto, ma le parole non le uscivano, diventavano impossibili ed inutili quanto i fari dell'auto che non riuscivano ad illuminarle la strada come le sarebbe servito.
Come sempre, con fatica e piccoli espedienti era riuscita a ad andare avanti con una certa regolarità ma adesso i tornanti della salita in mezzo al bosco le stavano consumando le ultime risorse. La leggera nebbia la disorientava rendendole sconosciuta quella strada che invece aveva percorso centinaia di volte, le foglie sull'asfalto nascondevano a tratti le strisce che lei seguiva ipnoticamente ed ogni curva sembrava interminabile ed uscirne solo un'insperata fortuna.
Per il breve lampo di un momento lei sperò che la sua scarsa visibilità non si incontrasse mai con un imprevisto ed entrambe non si imbattessero in quella sottile ed inammissibile voglia di morire che a volte le pareva di sentire latente...
Scacciò la tetra visione e ricacciò indietro le lacrime ma di fianco a lei avvertiva l'insofferenza di lui... sapeva che in realtà si trattava di frustrazione per non essere nelle condizioni di guidare ma per uno strano ma forse anche logico meccanismo diventava più semplice e quasi involontario prendersela con lei per la sua incapacità. Senza parole, ovviamente.
"Non è colpa mia se non ci vedo." pensò lei. Ma non pensava solo a quello. Si rese conto che avrebbe voluto essere rassicurata... "Dai, manca poco ormai... stai tranquilla, stai andando bene..." e mentre lo pensava capì che lui non poteva dirglielo. Perché non era vero.
Fu solo quando, dopo le altre infinite curve in discesa, vide finalmente le luci del paese che penetrarono il buio che anche il silenzio parve arrendersi e lasciare entrare piano piano voci e rumori.
Ancora una volta, come le accadeva da troppo tempo, si chiese quando è che la fuga dalla vita avesse iniziato a diventare più forte della vita stessa.
Ma la risposta la lasciò dentro al silenzio.

albascura

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