Che poi, in definitiva, è solo un albero. Farlo è stato meno indolore che tenerlo lì a ricordarmi il motivo della titubanza. Il fatto è che "le cose" non sono mai solo "cose", noi le arricchiamo di vissuto, ricordi, significati e così, inevitabilmente diventano anche depositarie del nostro dolore.
E allora, come si fa? Bisogna guardarle solo come "cose"? Ma in questo modo perdiamo anche il loro contenuto di gioia e bellezza... Sto facendo questo? Sterilizzo quel che potenzialmente può procurarmi dolore in modo da poterlo affrontare?
No, un momento, ragioniamo. Le emozioni, dunque, si comportano un po' come la luce che, colpendo un oggetto viene assorbita per tutta una serie di colori e ne viene respinta per uno solo, che poi è quello che il nostro occhio percepisce. Ecco, capita che il colore riflesso, l'emozione riflessa, dipenda dal momento e dalle circostanze che si vivono e adesso questo accidenti di momento fa sì che ogni stramaledetto oggetto che mi circonda si ingurgiti tutti i pensieri belli e mi rimandi esclusivamente quelli dolorosi.
La tentazione sarebbe quella di spegnere la luce. La soluzione, invece può essere quella di andare oltre la luce, convincersi che dentro a quell'albero, come a tutte le altre cose, ci sono anche tutti gli altri colori anche se ora non li riesco a vedere.
E se i colori ci sono, se le emozioni ci sono, magari in qualche modo ti arrivano, ti si spalmano in strati che ora non vedi ma che poi ti ritroverai al momento opportuno.
Bene, sono contenta di non aver fatto "solo un albero", di aver potenzialmente costruito qualcosa anche sul dolore, insomma, di avere il pensiero che sa andare più veloce della luce.
ora...
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